Violenza tra i giovani, emergenza sociale?
Vivere sotto l’ombrello della paura sta amplificando il fenomeno della violenza gratuita, soprattutto fra i giovanissimi. Negli ultimi due anni, infatti, gli episodi di violenza, bullismo e cyberbullismo tra i ragazzi della cosiddetta generazione Z dilagano senza sosta. Il disagio diffuso di questa fascia d’età è stato evidenziato anche dagli studi condotti dall’Osservatorio “Indifesa” dai quali emerge un quadro davvero allarmante della situazione attuale: oggi in Italia un adolescente su due è vittima dei suoi coetanei. In parallelo, Paolo Ferrara, direttore generale di Terre des Hommes Italia, ha dichiarato pubblicamente che la pandemia ha provocato un forte aumento dei disturbi psicologici e psichiatrici tra gli adolescenti. Non sono solo autorevoli studi e ricerche a dimostrare che bullismo, cyberbullismo, violenza di genere e molte altre manifestazioni di odio incontrollato, oggi, siano riusciti a rompere tutti gli argini che la società aveva cercato di costruire per contenerli. Anche i fatti di cronaca di cui leggiamo ogni giorno sui giornali, fotografano la drammaticità del fenomeno.
Qual è lo scopo di tanta violenza?
Pensiamo, per esempio, a ciò che è accaduto pochi giorni fa davanti al portone dell’istituto alberghiero di Sassari, dove una sedicenne incappucciata ha aggredito una coetanea colpendola più volte in viso con un tirapugni di metallo. A Reggio Emilia, 15 giorni fa, una ragazza di soli 15 anni è stata violentata dai suoi compagni di classe durante uno sciopero nell’ istituto, oppure ai terribili fatti accaduti in centro a Milano la notte di Capodanno. Da un’attenta analisi di questi e molti altri fatti di cronaca che hanno per protagonisti gli adolescenti, si evince chiaramente che quella violenza è puramente distruttiva, fine a sé stessa e assolutamente priva di progettualità.
È una violenza che sgorga spontaneamente dalle viscere, si propaga per contagio emotivo e affonda le sue radici nella paura, spesso inconsapevole, di non farcela, di non riuscire non solo a costruire un futuro, ma neppure a immaginarlo, di non trovare mai il proprio posto nel mondo: in sostanza, non è altro che un modo per dichiarare la resa, il fallimento.
Insomma, la generazione Z sembra essere davvero in difficoltà di fronte a una realtà complessa e incomprensibile, che toglie certezze e nel contempo soffoca ogni spazio di libertà e di sano svago. Una realtà in cui tutti i contenitori sociali che finora riuscivano, almeno in parte, a contrastare l’esplosione della violenza si stanno depotenziando ogni giorno, a cominciare dalla scuola che oggi non è più una certezza nella vita degli adolescenti. Probabilmente dopo mesi e mesi di DAD, oggi la scuola appare ai loro occhi ancora più precaria del futuro lavorativo dei loro genitori, spesso impoveriti e schiacciati dal peso di due lunghi anni di chiusure forzate delle attività commerciali e di fatturati ridotti all’osso per molte categorie di liberi professionisti.
Non è tutta colpa della pandemia
Attenzione, però, il mio intento non è quello d’imputare alla pandemia tutte le colpe: l’incontrollata esplosione di violenza all’interno della generazione Z ha le sue radici più profonde in una serie di fattori già presenti nella nostra società, fra cui la paura del futuro, la scarsa tolleranza alla frustrazione e al sacrificio, l’insana idea al diritto di una felicità innata e perenne, che non sono stati causati né dall’emergenza sanitaria né dalla diffusione dei social media.
La pandemia è stata un ottimo propulsore del fenomeno! E l’uso incontrollato, continuo e indiscriminato dei social media ha fatto il resto.
Contagio emotivo
Provate a pensarci: quando il futuro è incerto, nebuloso, oscuro e tutti quei famosi contenitori sociali, come la famiglia, la scuola, lo sport, iniziano ad essere labili, precari, intermittenti, non resta che andare in cerca di rifugio e sicurezza nel gruppo che, in molti casi, si trasforma in un vero e proprio branco. Il branco colpisce quasi sempre a favore di fotocamera, perché in una società in cui per affermare la propria esistenza si ricorre sempre più spesso alla sovraesposizione mediatica, ormai alla portata di tutti, i ragazzi sono convinti che per affermare sé stessi bisogna fare audience. Tv e social insegnano che l’audience, oggi, si ottiene soprattutto partecipando alle discussioni violente, o peggio alle risse. Dunque, il naturale sbocco di quella frustrante incertezza sul futuro, amplificata dai frequenti lockdown, è proprio la scelta di commettere azioni violente che non passino inosservate, ma in ogni caso fini a sé stesse.
Il sistema dei social è costruito sulla condivisione all’interno del gruppo e favorisce le emozioni di ostilità, di rabbia, di aggressività, esagerandole rispetto alle cause, indirizzandole verso bersagli casuali o, a volte, agite “su commissione”.
La prevenzione per un futuro migliore
Provare a costruire relazioni sane e un futuro fondato su certezze tangibili, in primis in famiglia, poi nel contesto scolastico, sociale, di prossimità, può aiutare i nostri ragazzi e i giovani a superare il disorientamento e a contrastare queste esplosioni di violenza. Invece di chiudere le scuole e sospendere la didattica, dovremmo aprirle per molte più ore al giorno e offrire ai ragazzi l’opportunità di frequentare laboratori che insegnino un mestiere o che li aiutino ad orientarsi in un universo lavorativo sempre più precario e complesso. Creare e incentivare attività sportive e di gruppo che li aiutino a sviluppare relazioni sociali positive improntate al rispetto, all’aiuto reciproco, alla collaborazione, all’empatia o che, quantomeno, sappiano suscitare interessi, ispirazione, curiosità, disponibilità al confronto, pensiero critico, senso di responsabilità, desiderio di costruire “qualcosa” insieme a chi ci è vicino.
La via maestra per uscire dall’impasse, a mio avviso, potrebbe essere proprio questa e non certo la condanna, giusta, ma inutile, o perfino controproducente, se resta fine a sé stessa. Né, tantomeno, la prescrizione massiva di psicofarmaci capaci soltanto di anestetizzare e sedare il sintomo senza indagare le cause, senza lasciare spazio al cambiamento e non offre la prospettiva di una vera e propria guarigione.
La violenza si può combattere
Fondamentalmente, la violenza è la manifestazione della rabbia, quell’emozione primaria innata e riscontrabile in tutte le popolazioni, quindi potremmo dire che violenti si nasce. Nel processo evolutivo, però, le emozioni, positive e/o negative sono veicolate, trasmesse, filtrate, modulate dagli adulti, emergono nel tempo attraverso le esperienze e l’apprendimento. Per questo, la famiglia e l’ambiente sociale hanno un’influenza molto forte e la grande responsabilità di orientare i bambini a distinguere il bene dal male, di aiutarli ad imparare come gestire le emozioni distruttive, di testimoniare e promuovere una cultura della non-violenza, della non discriminazione, dell’uguaglianza, dell’equità, in breve, una cultura fondata sul principio cardine del pieno riconoscimento della pari dignità fra gli esseri umani.