La vergogna che ruolo ha nella società di oggi?
La vergogna è una delle emozioni più represse nella nostra società. Questo rimosso va di pari passi all’eliminazione del concetto della sfera intima. Aspetti della vita privata che prima erano ben custoditi e tenuti al riparo da sguardi indiscreti, oggi vengono esibiti pubblicamente sui social e non solo: vita sessuale, vita sentimentale, condotte sbagliate. Nulla di tutto questo genera più vergogna.
Viene da chiedersi allora se siamo davanti ad un moto di liberazione rispetto ad un’emozione nefasta, frutto di un retaggio culturale finalizzato al controllo della morale, oppure se stiamo perdendo qualcosa di importante, con una sua funzione sociale.
Perché proviamo vergogna
L’idea più accreditata del perché l’essere umano conosca la vergogna, è che questa abbia una funzione sociale ben precisa, ovvero quella di farci aderire a determinati comportamenti e valori condivisi dalla comunità di appartenenza. Infatti, la vergogna è un’emozione secondaria che si sviluppa e si apprende a partire dai due anni di età, quando il bambino comincia ad avere consapevolezza di sé e a percepire il giudizio degli altri. Vergogna e senso di responsabilità per le proprie azioni, dunque, si muovono insieme in un unicum indissolubile.
In questo caso potremmo definire “positiva” questa faccia della vergogna.
Ciò che provoca vergogna in un gruppo sociale, potrebbe non suscitare la stessa reazione in un altro gruppo. Pensiamo al fenomeno diffusissimo in Giappone dello Johatsu: sparire e cambiare identità dopo un fallimento lavorativo o matrimoniale, a causa della vergogna che esso suscita. Un sentimento quasi incomprensibile per gli occidentali, eppure tanto diffuso nella terra del sol levante.
La verità è che probabilmente la vergogna ha una funzione sociale fondamentale: quella di farci agire con regole di condotta comuni, per il benessere dell’intera comunità. Per fare questo dobbiamo essere capaci di assumerci la responsabilità di ciò che facciamo.
La vergogna però è “funzionale” solo quando la associamo al nostro agire e non al nostro essere. Se compio un’azione riprovevole e me ne vergogno, la vergogna sta svolgendo correttamente la sua funzione.
Se mi vergogno di ciò che sono, invece, siamo di fronte ad una distorsione patologica che potrebbe richiedere l’intervento di uno specialista.
Nell’era dell’esibizionismo, la vergogna esiste ancora?
Oggi azioni private e comportamenti intimi sono sbandierati ai quattro venti sui social. Contestualmente, molti dei vecchi tabù sono crollati. Il motto “Si fa ma non si dice” appartiene al passato, perché quasi nessuno sembra avere più vergogna nel parlare liberamente di agiti sociali fino a poco fa ritenuti inammissibili o – perlomeno – intimi e riservati.
La funzione regolatrice della vergogna si sta disfacendo. Se qualcuno saluta il fenomeno come una buona notizia, una liberazione dai retaggi del passato, bisogna anche osservare come stia prendendo piede una distorsione ancora più pericolosa di questo sentimento. Una vergogna “cattiva”, figlia dell’incapacità degli individui di rendersi responsabili dei propri comportamenti di fronte agli altri. Individui fragili, chiamati a performance oltre misura, a confrontarsi con le vite degli altri che sembrano perfette, a temere il giudizio e l’esclusione.
Assistiamo così a una crescente quantità di persone incapaci di gestire il fallimento. Un esempio che salta spesso agli onori della cronaca, purtroppo, è quello degli universitari che si suicidano perché non hanno dato gli esami. Spesso arrivano al punto di annunciare la propria laurea, per poi compiere l’estremo gesto vergognandosi del fallimento.
La vergogna cattiva come forza distruttrice
Il problema è che siamo di fronte ad un “sentimento” di vergogna che si attacca alla persona e non alle sue azioni. Chi cade vittima di questa distorsione non accetta di aver sbagliato un’azione o di non aver centrato un obiettivo, ma sente di essere una persona sbagliata, inadatta, da emarginare, che non può essere amata e perdonata.
Qui non è la funzione positiva della vergogna ad agire, ma è la sua forza distruttrice che ha poco a che fare con i sentimenti che fino ad oggi hanno aiutato la nostra specie ad andare avanti e ad evolvere come comunità.
La capacità di renderci responsabili delle nostre azioni ci dà anche la grande opportunità di accettare i fallimenti. Se non sviluppiamo questa competenza sociale, in cui la vergogna “buona” svolge una funzione regolatrice da rivalutare, allora diventa impossibile gestire il disagio. La vergogna “cattiva” viene all’attacco, distruggendo vite e legami affettivi e sociali.