Infodemia, information overload e cattive notizie: gli effetti sulla salute
Infodemia, information overload (o sovraccarico cognitivo) e bombardamento di cattive notizie sono tre aspetti del nostro rapporto con l’informazione oggi. Mass media, internet e soprattutto social network ci stanno mettendo di fronte a una quantità di dati inaudita, che non siamo in grado di processare né a livello cognitivo né a livello psicologico.
Alla sovraesposizione si aggiunge il fatto che sempre più spesso le notizie non sono approfondite, verificate o selezionate per utilità: la ratio è la capacità di attirare click e reazioni da parte degli utenti dei social.
Per fare questo, sempre più titoli e articoli parlano alla pancia emotiva e non alla testa razionale. Un sovraccarico cognitivo ed emozionale che in nessun modo possiamo gestire senza riportare danni per la nostra salute psicologica.
Infodemia: la ricerca continua di notizie che alimenta l’ansia
Di infodemia si è parlato durante la pandemia Covid-19. Questo fenomeno è stato caratterizzato da un bombardamento massivo di notizie sulla pandemia, di storie di malattia e di morte. Al di là del giusto diritto all’informazione, l’infodemia ha portato solo effetti negativi:
- Difficoltà a distinguere il vero dal falso;
- Rabbia sociale e polarizzazione del dibattito pubblico;
- Ansia di ricercare sempre nuove informazioni, che generano ulteriore ansia, innescando un circolo vizioso.
Questo valeva per le notizie sul Covid-19 ma vale anche per tutti i grandi eventi negativi che ci coinvolgono: la guerra, la crisi climatica, la questione mediorientale, il terrorismo ecc.
Ad aggravare la situazione, c’è il fatto che molto spesso non si raccontano dati significativi ma storie intime e private particolarmente coinvolgenti. Una sorta di pornografia del dolore, come viene spesso chiamata, che acuisce curiosità morbose, ansia, depressione, paura dell’altro ecc.
Information overload o sovraccarico cognitivo
Un altro fenomeno è quello dell’information overload o sovraccarico cognitivo. La quantità di informazioni che ciascuno di noi ha a disposizione oggi è incredibile, senza pari nella storia dell’uomo.
Il nostro cervello non è fatto per districarsi tra tutti questi dati, spesso peraltro non verificati e non utili. Questa disponibilità di informazioni ci impedisce di fare una valutazione razionale e di farci la nostra idea su un determinato argomento.
Quindi restiamo nel limbo, o mettiamo in atto delle strategie inconsce per orientarci: sono i cosiddetti bias cognitivi. Uno di questi è il bias di conferma, che ci porta a cercare solo le risposte che confermano una nostra idea.
Finiamo così in una sorta di bolla dove esiste solo la nostra visione del mondo: chi resta fuori ha torto.
Cosa aggrava la situazione? Ancora i social.
I feed dei social funzionano proprio come delle camere dell’eco: quanto più interagiamo con un determinato tipo di notizia o punto di vista, tanto più ci verranno proposti contenuti della stessa risma. Di conseguenza si afferma il pensiero dicotomico, in cui le cose sono o bianche o nere. La discussione è sostituita dalla lotta verbale.
Crescono la rabbia sociale, l’aggressività, l’odio, gli insulti sui social. Talvolta con esiti tragici per chi si ritrova vittima della macchina del fango.
Troppe cattive notizie
Le cattive notizie prendono più click e più reazioni di quelle buone, perché ci coinvolgono in maniera più violenta. Al contempo, stiamo vivendo un periodo di recrudescenza di problematiche che sembravano essere sopite durante la pandemia: conflitti armati, cambiamenti climatici, elezioni politiche che decideranno le sorti del pianeta ecc.
Succedono anche cose buone: non siamo mai stati così longevi e così istruiti, a livello globale. I diritti civili si stanno diffondendo in tutto il mondo seppure con grandi differenze e diseguaglianze geografiche. La scienza e la cultura registrano progressi continui.
Questa narrazione non riesce a sfondare però il muro di cattive notizie che ci viene messo davanti ogni giorno. Cattive notizie che parlano alla pancia e prendono click, che esibiscono il dolore degli altri come animali in uno zoo.
Il risultato non può che essere una diffusa sensazione di ansia, depressione e precarietà. Molti millennials ad esempio dicono che non desiderano avere figli anche a causa della situazione globale, precaria e incerta: il mondo non è più un posto in cui portare dei bambini innocenti.
Secondo alcune ricerche, però, la sovraesposizione alle cattive notizie può creare anche disturbi post traumatici da stress non diversi da quelli che accusa chi ha subito i traumi dal vivo. Miliardi di persone così esposte alle cattive notizie rischiano di diventare un enorme problema di salute mentale pubblica in tutto il mondo.
Come fare per evitare gli effetti della cattiva informazione
A volte, la cosa migliore da fare è semplicemente disconnettersi. Smettere di scrollare il feed dei social e uscire a fare una passeggiata al parco, o al mare, per evitare cattive notizie e commenti intrisi di aggressività e cattiveria.
La tecnologia è cresciuta in maniera sproporzionata rispetto alla nostra capacità di utilizzarla e di orientarci. I social hanno reso ridondanti informazioni e insulti. E purtroppo molto spesso hanno trasformato l’informazione da servizio di approfondimento e cultura a attività di marketing, nella peggiore accezione.
Dietro gli schermi, milioni di utenti non in grado di capire che virtuale è reale, usano i social network come strumento per vomitare le proprie insoddisfazioni, ansie, paure, fallimenti.
Se ti senti sopraffatto da tutto questo, spegni il telefono per un po’. Per avere un’informazione sana e funzionale, seleziona poche testate affidabili (magari con punti di vista diversi) da leggere una sola volta al giorno. Così puoi farti un’idea tua, personale: potrebbe non essere tutta bianca o tutta nera, ma avere diverse sfumature.
Non aprire i commenti sotto i post, perché ti avvolgerebbe una nube tossica.
E fai anche tu la tua parte, astenendoti dal diffondere altra aggressività, ansia e paura attraverso i tuoi contenuti e i tuoi commenti.
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Disclaimer: questo articolo contiene considerazioni personali, di carattere generale, e non sostituisce il parere di uno specialista.