La compassione che cura: benessere psichico e benessere fisico sono intimamente correlati
Nel linguaggio corrente, alla parola compassione viene,spesso, attribuito il significato di “pena” o “pietà” e il sentimento che gli si attribuisce non gode di grande stima.
In realtà, la compassione e la pena (o la pietà) sono emozioni assai diverse: la prima ci avvicina alla sofferenza dell’altro e muove in noi un autentico desiderio di alleviarla, la seconda muove, fondamentalmente, da un pregiudizio sullo stato dell’altro, da una posizione di superiorità, è qualcosa che muove la mente e il nostro desiderio di aiuto ha lo scopo di liberarci dai nostri sensi di colpa.
E’ facile provare sentimenti di partecipazione affettuosa e viscerale, una passeggera tristezza nei confronti di coloro che definiamo meno fortunati, è facile compatire i barboni che dormono sui marciapiedi, più difficile è comprendere, provare com-passione, condividere le ragioni del disagio di chi fa parte del nostro contesto di vita, della moglie/marito traditi o che tradiscono, del collega depresso o paranoico, dell’adolescente emarginato, della vita solitaria, apparentemente “normale” che addolora e consuma chi è vicino a noi, condividere quella velata, a volte disperata malinconia che ci accomuna al genere umano.
Fatta chiarezza sull’uso dei termini per evitare fraintendimenti, mi piace citare Kundera che, in “L’insostenibile leggerezza dell’essere” afferma: “Nella gerarchia dei sentimenti, la compassione è il sentimento supremo. Avere compassione (co-sentimento) significa vivere insieme a qualcuno la sua disgrazia, ma anche provare insieme a lui qualsiasi altro sentimento: gioia, angoscia, felicità, dolore. La compassione indica l’unificazione dei due cuori, la perfetta unione, divenendo uno dei picchi più alti dell’amore”.
Essa è, dunque, uno stato della mente, una filosofia di vita, un imperativo costante, che vorrebbe tutti gli uomini liberi dalla sofferenza. Il problema è che, ancor prima di provare compassione per gli altri, dobbiamo essere in grado di provare compassione per noi stessi.
Dobbiamo imparare a non giudicarci, a non criticarci, ad accettarci per quello che siamo, esseri imperfetti, fragili, vulnerabili e volerci bene, nonostante tutto.
Dobbiamo imparare ad essere gentili con noi stessi, prestare attenzione al modo con cui ci parliamo e trattarci come tratteremmo il nostro migliore amico, con pazienza, comprensione, affetto, umanità.
Recenti ricerche (Antonio Damasio) hanno dimostrato che l’autocompassione è un’emozione profondamente radicata negli esseri umani, che ha una base biologica nella mente e nel corpo ed è uno strumento importante ed efficace per affrontare situazioni disturbanti, controllare e modificare reazioni emotive disfunzionali che, spesso, regolano la nostra vita.
Studi longitudinali hanno rilevato, inoltre, che i livelli di infiammazione cellulare delle persone che praticavano la compassione erano molto bassi e di come, il sistema immunitario si indebolisca e abbia un malfunzionamento in presenza di prolungati stati di sofferenza emotiva e psichica.
La compassione è così “benefica” perché benessere psichico e benessere fisico sono intimamente correlati, per cui una mente calma, equilibrata, pervasa da sentimenti e pensieri positivi, proteggerà il nostro corpo rendendolo meno vulnerabile alle malattie.
Inoltre, le persone compassionevoli tendono ad essere meno ansiose e meno depresse, sperimentano meno frequentemente emozioni negative come paura, rabbia, rancore, ostilità, e sviluppano, di contro, maggiore capacità di resilienza e un positivo atteggiamento prosociale.
Con la compassione diventiamo più empatici e ci avviciniamo agli altri con la consapevolezza e la capacità di percepire e gestire le nostre emozioni senza giudicare, ma con la sincera intenzione di accogliere, alleviare, sostenere chi, in quel momento ha bisogno di essere aiutato.
Non a caso, Fëdor Dostoevskij scrittore, folosofo e profondo conoscitore dell’animo umano, nel 1800 scriveva che “La compassione è la più importante e forse l’unica legge di vita dell’umanità intera”.
Se riconosciamo il valore e la bontà di questo assunto, riconosciamo alla compassione un’enorme potere, per cui questo sentimento dovrebbe diventare una qualità implicita nel nostro vivere quotidiano e un aspetto costante del nostro modo di intendere e vivere nel mondo.
Gli effetti che ne potrebbero derivare sono molteplici e non solo per noi stessi, ma per la società intera, infatti:
- viene incoraggiata un’educazione sull’empatia, sull’etica e sullo sviluppo personale;
- vengono sviluppati e incoraggiati dialogo, comunicazione, cooperazione piuttosto che violenza e competizione;
- ci riconosciamo parte di un’unica specie umana, individui imperfetti, vulnerabili, mortali che condividono lo stesso destino;
- si tende e ci si adopera per ridurre ed eliminare le differenze culturali, i pregiudizi e la corruzione;
- si “lavora” per ridurre le diseguaglianze sociali e creare nuovi sistemi economici che siano più equi e rispettosi di ciascun abitante di questa società.
Il cambiamento inizia da noi, prima inizieremo a provare compassione, più benessere potremo provare nella quotidianità e daremo anche un piccolo contributo alla costruzione di un mondo più giusto da lasciare in eredità a chi verrà dopo di noi.
“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”
Gandhi