Più trauma per ciascuno, ora siamo tutti pazienti
Evidenze non filtrate da ideologie dimostrano che oggi l’epidemia da coronavirus, grazie anche alla svolta nelle conoscenze mediche, è più gestibile e sotto controllo. Tuttavia, la narrazione del terrore continua e siamo in balia di forti privazioni della libertà, dei nostri diritti umani, rischiamo l’obbligo di cura, il tracciamento dei movimenti, l’uso di dispositivi, il distanziamento fisico (chiamato intenzionalmente sociale?) in nome e per conto di un’emergenza a tempo indeterminato e con la spada di Damocle sul collo: “In autunno ci sarà una nuova ondata del virus”, non si sa bene la fonte di affermazioni così certe.
Chi osa esprimere pensieri non in linea o chiedere chiarezza su molti aspetti di questa triste vicenda è definito complottista, a priori, privo di senso civico, socialmente pericoloso, fede nella pandemia e onore al virus sovrano.
Il fatto è che sotto l’ombrello di questa pandemia siamo stati costretti a vedere la spietatezza di un sistema capitalistico, tutti i problemi e le difficoltà sociali e individuali che c’erano anche prima e che il Covid 19 ha intensificato, aggravato e messo drammaticamente in luce.
La povertà, i suicidi, l’evasione fiscale, le diseguaglianze, le ingiustizie sociali, l’emarginazione, le violenze familiari, la depressione, le dipendenze, la disoccupazione, il mondo della scuola e un sistema sanitario indeboliti da continui tagli, tutto questo non l’ha creato il coronavirus che, come tutte le epidemie, scomparirà, ma i problemi resteranno e la loro evoluzione dipenderà da come li affronteremo e dai nostri comportamenti, che non saranno altro che il risultato dei nostri pensieri e dei nostri convincimenti.
Il paradosso è che accanto a tutti i problemi preesistenti sta passando il messaggio per cui siamo diventati tutti portatori di traumi e di disagio mentale causati dalla pandemia in sé, cosa quantomeno semplicistica, affrettata, non rispondente a verità assoluta: se ora siamo, al bisogno, tutti pazienti, lo dobbiamo anche a una gestione schizofrenica, a vari livelli, di questa emergenza, dalla comunicazione dei dati alle misure di contenimento prescritte, dalla frammentazione territoriale alla lettura divergente e contradditoria che via via ci veniva e ci viene propinata dagli esperti di turno e troppe domande attendono ancora oggi risposta.
Penso al disturbo ossessivo compulsivo, alla depressione, ai disturbi del sonno, alle crisi di panico, ai comportamenti evitanti, ai suicidi, comportamenti disfunzionali e atti estremi che il sistema stesso ha determinato trasformando vissuti patologici in una normalità ampiamente promossa.
Sono consapevole di essere una voce fuori dal coro e non intendo sminuire il lavoro di tanti psicologi (me compresa) che volontariamente si sono messi al servizio di tante persone che avevano bisogno di sostegno, ma penso che noi psicologi non dovremmo amplificare, etichettare i sintomi: una cosa è un periodo di emergenza, un’altra è offrire e istituzionalizzare un servizio psicologico per curare sintomi che il sistema stesso ha creato.
Ricondurre un disagio sociale a un disagio esclusivamente individuale, soggettivarlo a livello istituzionale, significa psicologizzare, medicalizzare, psichiatrizzare, spostare il piano degli interventi dal livello delle cause a quello degli effetti, non riconoscere i reali bisogni delle persone e le cause socio/politiche sulle quali intervenire per risolverli a monte, ovvero promuovere una vera cultura della prevenzione a cominciare dal ridurre le diseguaglianze e la povertà educativa.
A parte questo, io mi chiedo anche: sappiamo tutti che l’angoscia più grande, che annienta, è la convivenza con qualcosa che ci terrorizza e che non conosciamo, come facciamo a rassicurare una persona angosciata se non disponiamo di dati trasparenti, di ragionevoli certezze, seppure provvisorie? Come è possibile contrastare la depressione di un padre di famiglia che ha perso il lavoro? Fino a ieri si moltiplicavano ammonimenti e consigli per limitare (a mio parere giustamente) l’uso dei cellulari e della comunicazione “via social” dei nostri ragazzi, cosa potremmo dire oggi? Come è possibile aiutare le persone a riprendere in mano la propria vita, a venire a patti con la situazione attuale, a mantenere un sufficiente equilibrio emotivo e psichico se siamo tutti ostaggio di dati assoluti, avulsi da un contesto, se scambi affettivi, socialità, relazionalità sono vietate e dichiarate fonte di contagio?
Quindi prima di parlare di trauma e farlo anzitempo nei salotti televisivi (“Ci sarà bisogno dello psicologo come del vaccino, ci sarà psicologia per tutti”, non si sa bene pagata da chi) sarebbe utile aiutare le persone a ritrovare una razionalità critica, sostenerle in un attento esame della realtà, per rivendicare il proprio diritto ad avere informazioni chiare dallo Stato e prendersi in carico la propria salute senza lasciarsi condizionare acriticamente dai regolamenti.
Aiutarle a trovare la forza per esigere, di diritto, un lavoro e l’istruzione, che oltre ad essere i capisaldi della nostra Costituzione, sono gli aspetti fondanti attorno ai quali strutturiamo la nostra vita, ci conferiscono dignità e rimettono in moto la creatività e il desiderio.
“Il desiderio è rivoluzionario, perché cerca quello che non si vede”
Platone