//Ecco perché la guida “Come essere felici” non può esistere

Ecco perché la guida “Come essere felici” non può esistere


come essere felici?

Come essere felici è la domanda che tutti si fanno. Tanti, tantissimi lo chiedono al web. Sulla rete si trovano articoli, reel, post che offrono ricette per la felicità, l’autorealizzazione e la conoscenza di sé: “5, 7, 10 passi per essere felici”; “I tre segreti per la felicità”.

Questo è consolatorio e dà al lettore un punto di appiglio: ma può esistere davvero la guida universale alla felicità?

Dopo anni di esperienza clinica come psicologa e counselor, la mia risposta è che la guida “Come essere felici” non può esistere, per almeno tre motivi:

  • il concetto di felicità è difficile da definire;
  • la psicologia ci insegna che non può esserci un percorso universale per tutti;
  • la vita non è davvero una corsa al benessere.

Che cos’è la felicità

Tutti vogliamo essere felici, ma che cos’è la felicità?

La felicità è un’emozione che proviamo quando raggiungiamo un obiettivo o appaghiamo un desiderio: è molto vicina all’allegria e alla contentezza. Sotto il profilo biologico, quando siamo felici, nel nostro corpo entrano in circolo una serie di ormoni come la serotonina e la dopamina che ci fanno sentire bene e ci gratificano. Di qui il desiderio di essere felici ancora e ancora.

Schopenhauer però diceva proprio che quando c’è il desiderio, non può esserci più la felicità. Si tratta quindi di un’emozione fugace. Chi ricorda la poesia di Montale, “Felicità raggiunta”? Non appena raggiunto, a fatica, questo stato di appagamento e di gioia ci sfugge come un palloncino dalle mani di un bambino.

Allora come è possibile essere felici per una vita intera, senza interruzioni? Forse dobbiamo ricalibrare il vocabolario e parlare di soddisfazione del proprio modo di essere, di serenità nell’affrontare i problemi, di buona autostima. La felicità come la vorremmo, invece, sfugge al nostro controllo, tanto che non sappiamo neppure definirla.

Come essere felici: non è una ricetta preconfezionata

La psicologia non può essere normativa, quindi a mio avviso ha poco senso stilare decaloghi e guide step by step alla felicità.

Ogni persona porta con sé dei vissuti e un’identità diversa, ha aspirazioni diverse, background culturali diversi. Non esiste nella pratica clinica dello psicologo la possibilità di somministrare una guida definitiva e universale per vivere bene. 

Il ruolo della psicologia è invece quello di aiutare i pazienti a formulare pensieri e comportamenti in maniera funzionale, per affrontare con resilienza e realismo tutte le sfide che la vita inevitabilmente pone. Ciò significa:

  •  avere la giusta stima di sé e delle proprie capacità;
  • accettare i propri limiti;
  • sforzarsi di valutare oggettivamente i fatti;
  • comunicare con gli altri in maniera assertiva i propri bisogni, le proprie paure e le proprie aspirazioni.

Conoscere se stessi è un cammino lungo e forse non si finisce mai di imparare a riconoscersi, mentre si cambia in ogni fase della vita.

La vita è davvero una corsa al benessere?

In un precedente articolo mi chiedevo se la spinta dei social e di questa società dell’immagine ad essere positivi per forza sia un bene. E la risposta era che no, non lo è.

Da un lato, questa cultura della felicità a tutti i costi fa sentire inadeguato e sbagliato chi felice non è. Dall’altro, spinge sempre più persone a ostentare uno stato d’animo perennemente sovraeccitato e uno stile di vita in cui non c’è neanche un momento morto, una crepatura o una scucitura: onestamente irrealistico.

Ogni  vita è un’esperienza umana unica. Non cambiano solo i fatti oggettivi e i problemi che ogni individuo incontra nella sua via, ma è diverso anche il modo in cui essi sono percepiti da ciascuno di noi.

Inoltre, le circostanze possono cambiare con una rapidità tale (e talmente tante volte nel corso della vita), che l’esistenza è davvero imprevedibile.

Questi dati di fatto dovrebbero essere sufficienti a farci astenere da qualsiasi giudizio sulle vite degli altri.

Il mito della società gaudente per forza rischia, invece, di spingere all’omologazione, al sorriso di circostanza da social, apparentemente felice ma svuotato di senso.

Piuttosto che rincorrere la felicità fugace, dovremmo rivedere il modo in cui misuriamo il benessere psicologico.

Esso è la capacità di ciascun individuo di conoscersi, interrogarsi e chiedersi se sta seguendo la propria vocazione e le proprie aspirazioni, qualsiasi esse siano. Anche in mezzo ai tanti ostacoli che caratterizzano ogni esistenza umana.

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