Cure palliative e Hospice pediatrici: una realtà difficile da affrontare
Le cure palliative sono terapie assistenziali per i pazienti per i quali una guarigione non è più considerata possibile, dal punto di vista medico. Gli Hospice, invece, sono strutture residenziali alternative al ricovero volte a “normalizzare”, per i pazienti e i caregiver, il periodo del fine vita, all’interno di un ambiente protetto, dove possono ricevere l’assistenza sanitaria e umana di cui hanno bisogno.
Siamo abituati a nominare questi termini quando parliamo di persone adulte, malate o molto anziane. Eppure, la realtà è che sono quasi 30.000 i bambini che in Italia hanno bisogno di cure palliative e assistenza continua, spesso a causa di malattie rare che non sappiamo ancora curare.
Ho deciso di dedicare questo articolo a una realtà sulla quale posare lo sguardo è doloroso. La strategia di evitamento, di cercare di distrarsi quando si parla di patologie pediatriche inguaribili è comprensibilmente dettata dalla paura. Ma il ruolo dello psicologo in questi casi non può venir meno, per i bambini e per le loro famiglie.
Assistenza a domicilio e Hospice regionali: una legge ancora disattesa
La legge 38 del 2010 conferisce una serie di diritti e di servizi assistenziali h24, 365 giorni l’anno, per tutti i pazienti con una diagnosi di inguaribilità. Viene riconosciuta la necessità delle cure palliative e della terapia del dolore, mettendo al centro la dignità della persona.
Sul piano pratico, per quanto concerne i pazienti pediatrici, ogni Regione dovrebbe dotarsi di una rete locale di Hospice, psicologici, infermieri, ospedali, pediatri di libera scelta, per garantire assistenza professionale e umana continuativa ai bambini e alle loro famiglie.
Anche se è una delle leggi più avanzate in Europa, la legge 38/2010 è ancora fortemente disattesa. Solo il 5% dei 30.000 bambini inguaribili in Italia usufruisce dei diritti che gli spetterebbero per legge.
Gli Hospice pediatrici attivi nel Paese sono solo sei: Genova, Torino, Milano, Napoli, Padova e Lauria (Potenza) e sono in via di elaborazioni altri 5 progetti. Poi più nulla. Anche sul piano delle cure a domicilio, sono ancora tantissimi i pazienti pediatrici che non ne usufruiscono.
Ricevere assistenza medica e sanitaria non è indispensabile solo sul piano della gestione della malattia, ma anche per vivere questa esperienza tragica nella maniera più naturale possibile, riducendo le sofferenze per i pazienti e per le loro famiglie e aiutando a elaborare la situazione dal punto di vista psicologico.
Lo psicologo può aiutare davvero i bambini malati e le loro famiglie?
Non c’è nulla che possa rendere l’esperienza della malattia incurabile meno tragica e meno cruda. Tantomeno se la diagnosi di inguaribilità è riferita a un bambino. Anche solo immaginare che la patologia o la morte precoce possano un giorno presentarsi anche nella nostra famiglia, ci induce a distogliere lo sguardo e a evitare il tema.
Un comportamento del tutto comprensibile, di fronte a un’esperienza di morte che spesso viene definita “contro natura”.
Il ruolo dello psicologo e del supporto psicologico non può essere, in questo caso, quello di evitare il dolore o di volgere in positivo l’interpretazione dei fatti. Tuttavia, l’accompagnamento psicologico del paziente e della sua famiglia può essere d’aiuto per elaborare l’esperienza nella maniera più funzionale possibile, accettando di essere chiamati a affrontare un dolore enorme e una vicenda tragica.
L’accettazione è parte integrante del processo di elaborazione del lutto e della malattia terminale ed è assolutamente necessario ricevere tutto il supporto possibile per “passare attraverso” questo dramma.
Lo psicologo non può fare nulla per evitare ai propri pazienti le lacrime e le ferite provocate da una condizione simile, ma può aiutarli a non distogliere lo sguardo, a affrontare la malattia e la morte, anche quando sembrano troppo ingiuste.