Istinto materno: cosa può nascondere?
L’istinto materno è in parte una reazione naturale, in parte una costruzione culturale. Infatti, non tutte le donne sviluppano il desiderio di maternità e non tutte le madri rappresentano l’archetipo della madre affettuosa.
Si tratta di un tema molto difficile da affrontare, scottante e per certi versi coperto da tabù.
La mitologia, i cui personaggi incarnano storie universali, ci presenta figure di madri complesse: Giocasta, madre e moglie (inconsapevole) di Edipo, ma anche Medea, rea di infanticidio. La figura della madre, quindi, da sempre crea un quadro complesso.
Istinto materno: amore e sacrificio di sé
Nella madre convivono due sentimenti rispetto al figlio:
- l’amore, che viene spesso definito “incondizionato”, che spinge la madre a sacrificare se stessa (corpo, tempo, fatica, relazioni);
- la consapevolezza che proprio quel figlio è il motivo per il quale si sta rinunciando a occasioni di lavoro, socialità, cura di sé, opportunità.
Nella nostra cultura, alla donna si associa un innato istinto materno che fa sì che la madre si prenda cura della prole amorevolmente, incondizionatamente e senza rivendicazioni.
Anche in presenza di madri amorevoli e funzionali, nella pratica clinica psicologica ci si rende conto di come la figura della madre sia spesso, per il paziente, fonte di benessere, ma anche fonte di malessere e disagi.
Uscendo da una visione stereotipata della “mamma” angelicata, bisogna fare i conti con la realtà. Le madri sono donne, individui, che portano con sé la propria storia: come individui, riversano le risorse positive, ma anche le proprie “mancanze” nell’accudimento dei figli.
Nella maggior parte dei casi, nonostante la consapevolezza dei sacrifici compiuti e nonostante le inevitabili carenze individuali, nelle madri prevalgono il sentimento amoroso e i comportamenti funzionali di cura.
I casi in cui la consapevolezza del sacrificio di sé diventa, a torto o a ragione, smisurata e pervasiva, un odio smisurato e inconfessato rende patologica la relazione madre-figlio.
La maternità può subire deviazioni patologiche
La maternità non è solo istintiva, ma richiede un processo cognitivo complesso e prolungato nel tempo, mutuato e maturato nel contesto culturale e di vita dell’individuo, che si adatta a situazioni sempre nuove.
Se l’immagine tipica della madre è quella di colei che nutre i figli, è altrettanto vero che anche la madre può nutrirsi dei propri figli. La maternità, infatti, può diventare un esercizio di potere e sfociare in situazioni patologiche.
In questo modo la “mamma” dismette i panni arechetipici di colei che elargisce amore e assume invece connotati negativi.
Questo accade quando la madre vede nel figlio la causa dei suoi problemi e lo colpevolizza.
Cosa può accadere
A questo punto possono scatenarsi tre tipi di reazioni patologiche:
- la madre che vede nel figlio il depositario di tutte le sue aspettative e agisce con un iper-controllo del bambino e delle sue scelte da adulto;
- la madre prova odio e lo esprime in forme di maltrattamento verbale, psicologico o anche fisico, talvolta con esiti estremi.
- La madre prova odio e contemporaneamente profondi sensi di colpa e di vergogna per questi sentimenti inaccettabili che cerca di “bilanciare” con un amore morboso, spesso distruttivo.
Anche nelle madri funzionali l’amore convive con aspettative, consapevolezza dei propri sacrifici, blandi esercizi di potere, ma non prevarica sui sentimenti e i comportamenti che permettono alla donna di accudire, crescere e dare futuro alla prole.
Le relazioni materne patologiche, invece, mancano di equilibrio e lasciano nei figli conseguenze talvolta anche gravi dal punto di vista psicopatologico.
Per questo è importante non lasciare sole le madri che manifestano un disagio.
Fatti salvi i casi in cui ci sono patologie psichiatriche, l’amore della famiglia e degli amici, il supporto, la comprensione e l’aiuto di uno psicologo professionista possono aiutare la donna in difficoltà a affrontare in maniera funzionale il proprio ruolo di genitrice e instaurare con i figli un rapporto equilibrato.
Contatti della dott.ssa Ada Antonelli, psicologa.