//Noi come funamboli, in bilico fra psicologia e psichiatria

Noi come funamboli, in bilico fra psicologia e psichiatria


Il bombardamento incessante di notizie allarmanti, oscure e imprecise hanno giustificato e prescritto per legge il disagio in tutte le sue forme. La cultura del sospetto ha fatto breccia nella nostra mente e oscurato, spento il senso di comunità e appartenenza per lasciare posto, ora agli oppressori ora agli oppressi.

Ancora oggi siamo ostaggio di numeri e zero certezze, né chiarezza è stata fatta sulle morti e sulla gestione delle vicende umane e materiali legate alla pandemia.

Mascherine si, mascherine no, guanti si, guanti no, distanziamento sociale, ma si gioca a calcio, non più necessario doppio tampone negativo per certificare la guarigione, la comunicazione ufficiale continua ad essere schizofrenica e destabilizzante, fatto salvo “reclamizzare” il vaccino come unica soluzione per non “morire” di coronavirus. Si, non morire, perché l’unica bandiera che si agita è quella della morte, anche se di fatto non sapremo mai la causa di tanti decessi , così come non viene detto che il virus ha perso la sua virulenza e la malattia è di fatto più gestibile e curabile.

In questo clima destabilizzante, attraversato da una crisi economica di cui ancora non abbiamo realizzato la tragica portata, le persone manifestano, a ragione, tutto il loro disagio, ciascuna a suo modo per far fronte a una realtà angosciante.

Cosa può la psicologia che ancora è accessibile e fruibile solo da chi se la può permettere? Come categoria siamo tanto coraggiosi da andare controcorrente, se necessario?

ll mio timore è che ci sia uno scivolamento dalla psicologia a un sistema di psichiatrizzazione istituzionalizzato, ovvero pavento un incremento massiccio dell’uso di psicofarmaci per silenziare i sintomi, abbassare le capacità critiche, rispondere e legittimare l’enorme giro d’affari che ruota intorno alla “salute dei cittadini”, in una nuova dimensione di dittatura sanitaria complementare a una pericolosa e allarmante deriva autoritaria.

L’8 maggio il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom (redazione Ansa) in un editoriale di World Psichiatry, così dice: “I sistemi di salute mentale in tutti i paesi vanno rafforzati per far fronte all’impatto. Qualsiasi successo nell’affrontare ansia e angoscia delle persone renderà più facile per loro avere volontà e capacità di seguire le linee guida delle autorità sanitarie per contenere il contagio” Sempre nello stesso documento, Mario Maj, Direttore del Dipartimento di Psichiatria dell’Università “Vanvitelli” di Napoli afferma che ...ascoltare queste persone non è sufficiente, bisogna intervenire con gli strumenti propri della salute mentale, per ridurre il disagio, ma anche di promuovere la resilienza…” Ho letto più volte questo documento e mi sono fatta delle domande: “Cosa significa e quali sono le linee guida delle autorità sanitarie? Cosa si intende per “successo nell’affrontare l’ansia? Quali sono gli strumenti propri della salute mentale?” Ecco, in questa cornice trovano spazio anche i TSO!

Il fatto è successo ad Arezzo il 28 maggio scorso ed è stato lo stesso sindaco Alessandro Ghinelli ad informare i cittadini nel corso di una conferenza stampa che Un uomo ha rifiutato il tampone, per lui è scattato il tso, trattamento sanitario obbligatorio“.

La vicenda di Dario Musso sedato in mezzo alla strada come il più pericoloso dei criminali e portato in ospedale negandogli i suoi diritti fondamentali è passata pressoché inosservata, non viene da porsi qualche domanda?

E che dire del sacerdote bresciano di Castelletto di Reno, don Gianluca Loda, che in polemica contro le restrizioni imposte dalle autorità aveva rivendicato il diritto a pensare con la sua testa, ed è stato prelevato dai carabinieri e portato in ospedale per essere “accompagnato in un percorso di verifica e sostegno che gli consenta un pieno ristabilimento?”

Come categoria penso, pertanto, sia utile e necessario aiutare la società a rivedere gli imperativi su cui si fonda che oggi sono quelli dell’efficienza e della produttività, gli individui funzionari di un apparato tecnico, per sua natura il massimo della razionalità, che rassicura, ma esclude l’uomo “pensante” e i suoi aspetti “irrazionali”, anima della vita di ciascuno.

Veniamo espropriati anche dei momenti di tristezza, delle nostre malinconie, ci neghiamo le lacrime, (emozioni “negative”) in un regime dove bisogna essere contenti a tutti i costi per non sentirsi sbagliati, inadeguati, in difetto rispetto a modelli estetici standardizzati e a vite “perfette”, come se la felicità fosse una condizione naturale, ma siamo sminuiti, uniformati e ubbidienti consumatori di cose inutili e di cui non abbiamo bisogno.

Credo nella mia professione e la amo molto, la psicologia seria è rivoluzionaria e intellettualmente libera, poco salottiera e mai superficiale. Purtroppo viviamo nell’epoca di un sistema perverso dove le diagnosi vengono create nei laboratori psicosociali, i bisogni indotti dalla legge del mercato e veicolati dalla pubblicità, siamo di fronte al fallimento delle politiche di prevenzione sanitaria nazionali e internazionali, giocattoli in mano alla politica e all’economia, schiavi del profitto ad ogni costo.

Concludo con un pensiero di Franco Basaglia, il quale dice: “Nel nostro mestiere la finalità è quella di affrontare, trovare la maniera di affrontare la contraddizione che noi siamo: oppressori ed oppressi, e che dinanzi a noi abbiamo una persona che ci vorrebbe opprimere. Bisogna fare in modo che questo non avvenga. L’uomo ha sempre questo impulso, di dominare l’altro, è naturale che sia così. E’ innaturale quando si istituzionalizza questo fenomeno oppressivo. Quando c’è un’organizzazione che, approfittando dei problemi contradditori, crea un circolo di controllo per distruggere la contraddizione, assolutizzando i due poli della contraddizione ora in un modo ora nell’altro. Noi rifiutiamo questo discorso. Noi diciamo di affrontare la vita, perché la vita contiene salute e malattia e affrontando la vita noi pensiamo di fare la prevenzione. Pensiamo di fare il nostro mestiere di infermieri, di sanitari, di medici” e aggiungo io, di psicologi.