Paura della morte: perché non sappiamo affrontarla?
La paura di morire è una delle paure ataviche, connaturate all’uomo. Per millenni sono state le religioni a fornire spiegazioni accettabili sulla morte e sulla vita dopo di essa.
Ogni credo della storia, monoteista o politeista, ha cercato di rassicurare gli uomini riguardo questa grande paura.
Le società meno sviluppate, però, vivono un rapporto diretto con la morte: è presente come parte della vita quotidiana. Nell’Occidente ipertecnologico, invece, la morte è diventata con il tempo una sorta di tabù da conservare nel rimosso. Il mantra delle società occidentali è il benessere: stare bene, essere felici, avere successo.
Questo atteggiamento culturale ci impedisce di affrontare la paura di morire?
La morte in Occidente
L’Occidente è la parte più sviluppata e tecnologica dell’intero globo. I progressi scientifici, gli investimenti di denaro, la cultura del benessere hanno rapidamente portato il mondo occidentale a distinguersi dal resto delle società umane.
I tassi di mortalità non sono mai stati così bassi e l’iper-specializzazione medica, unita all’impiego di tecnologie avanzate, rendono curabile quasi ogni malattia. Fa eccezione il cancro, che è quasi una parola innominabile che spesso sostituiamo con perifrasi: il male incurabile, una brutta malattia.
Felici e sani per forza?
Secondo lo storico francese Ariès (1975), mai come nel mondo moderno in Occidente il concetto di morte è diventato un tabù. Morire rivelandosi esseri irrealizzati e fallibili è quasi inaccettabile per l’uomo occidentale moderno che ha l’imperativo di essere felice.
C’è una forte pressione sociale al benessere a tutti i costi e la consapevolezza che la scienza medica può “quasi” fare miracoli. Due idee che hanno reso la morte qualcosa di imbarazzante e sconveniente.
Il morire non è più nel controllo del morente, ma dei medici e dei familiari: talvolta al morente viene anche nascosta la sua condizione. La morte ha perso la dimensione sacrale, individuale ma anche sociale ed è diventata una vicenda medica. Al contempo, il pianto dei parenti e degli amici e l’elaborazione del lutto sono oggi questioni private, da vivere preferibilmente con dignità e riserbo.
La paura di morire, il rimosso e lo shock della pandemia
La morte in Occidente sembra essere oggetto di un’operazione di rimozione collettiva. La rimozione, per Freud e per la psicanalisi, è un processo di eliminazione di ricordi, desideri e paure che risultano inaccettabili per l’individuo e possono creare imbarazzo. In alcuni casi, il rimosso può diventare un atteggiamento psichico collettivo: è ciò che stiamo facendo con la paura di morire?
La pandemia di Covid ha rappresentato un trauma emotivo per l’Occidente: la morte è tornata improvvisamente protagonista e ciascuno di noi ha iniziato a temere per la propria salute fisica e la propria sopravvivenza.
Anche in questo frangente, tuttavia, abbiamo cercato il modo di non guardare davvero in faccia la morte: i defunti per Covid19 sono stati rappresentati statisticamente nei bollettini quotidiani. Queste persone sono morte in solitudine, perlopiù in strutture sanitarie, invisibili agli occhi della società ancora in salute. Il dramma umano si è consumato nella solitudine, senza il conforto degli amici e dei famigliari, nella totale mancanza di un ultimo contatto fisico. Un’esperienza storica e collettiva destinata a lasciare il segno.
Come la società tecnologica affronta la paura di morire?
Leggendo Ariès viene da pensare al concetto di medicalizzazione, come strategia attraverso la quale l’Occidente affronta la paura di morire.
Il significato corrente di medicalizzazione è quello di attribuire un valore medico a condizioni umane non patologiche: la calvizie, la gravidanza, il parto, i cambiamenti d’umore in adolescenza, la menopausa, l’invecchiamento…
Il termine viene però associato a Foucault. Il filosofo francese ha descritto il modo in cui dal medioevo all’età contemporanea, i diversi (i lebbrosi, i malati psichiatrici, i portatori di malattie veneree ecc) sono stati confinati in strutture “sanitarie”, di fatto costruite per tenere queste persone separate dalla società “sana”.
A partire da queste riflessioni Foucault ha elaborato il concetto di biopolitica, intesa come un intreccio tra la politica e la vita biologica, che talvolta può manifestarsi in un esercizio di controllo. Uno dei nodi di Foucault era l’idea di considerare l’individuo come forza lavoro per il capitalismo: la salute dei singoli, quindi, veniva preservata e medicalizzata per garantire il benessere del sistema. L’apice distopico di questa tendenza si sarebbe manifestato nel nazismo.
La vita biologica, la paura di morire e i grandi dibattiti pubblici
A prescindere da queste digressioni, politica e vita biologica sono in effetti sempre più legate a doppio filo. Da qui ha origine una serie di domande etiche che producono risposte controverse. Ad esempio?
- I grandi temi dell’aborto, della fecondazione in vitro, dell’eutanasia ecc legano il concetto di politica con quello di vita biologica;
- Anche la questione dell’assistenza ai migranti, ai quali è necessario fornire soccorsi immediati per garantire la sopravvivenza degli individui, si fonde con le questioni politiche e sfocia in annose discussioni sui diritti umani e la sovranità degli stati;
- Il cambiamento climatico chiama in causa il diritto alla vita, alla sopravvivenza di popolazioni, culture e forme biologiche animali e vegetali, ma anche enormi problemi di natura economica;
- Mai come in questi due anni il rapporto tra decisioni politiche e vita biologica è stato così evidente: lockdown, restrizioni ai movimenti, Green Pass e vaccinazioni sono strumenti sanitari adottati dalla politica per fronteggiare l’emergenza e hanno portato a scontri accesi.
La paura di morire e il rifiuto della morte sono i due fantasmi che si aggirano tra tutti questi grandi temi di dibattito pubblico.
Quanto è difficile affrontare questi temi?
Il punto cruciale è che quando ci si trova a bilanciare politica, economia, vita biologica ed etica entrano in ballo una serie di questioni sulle quali è difficile trovare un consenso unanime.
- Nel caso di temi bioetici come l’eutanasia, l’aborto, l’inseminazione artificiale, le ragioni dei contrari sono spesso di natura religiosa e morale;
- Nel caso del climate change, è la politica a doversi districare tra questioni biologiche e interessi economici. La crisi dei migranti, spesso legata al cambiamento climatico, chiama in causa anche questioni umanitarie, culturali, economiche e ideologiche;
- Quando invece come oggi ci si trova di fronte a questioni che ineriscono la salute individuale e sociale, i due perni contrapposti sono quello della libertà di scelta individuale e quello della responsabilità collettiva. Uno dei fenomeni che influisce particolarmente in questi casi è il modo in cui ciascuno percepisce il rischio: la percezione è sempre individuale ed è in parte legata ai dati oggettivi, ma ancora di più si basa su vissuti, paure e timori soggettivi.
Dibattiti polarizzati
Alle normali divergenze di idee scaturite dai grandi temi, si somma anche un sistema di informazione online che polarizza le opinioni. Ciò avviene per via di un meccanismo noto come bolla dei filtri: gli algoritmi dei social tendono a proporre contenuti interessanti per noi in base alle nostre preferenze, agli articoli che abbiamo già letto e apprezzato. Nella stragrande maggioranza dei casi ci si ritrova a avere sempre informazioni e approfondimenti che rafforzano le nostre opinioni.
I social hanno solo acuito una tendenza naturale per l’uomo: cercare conferme al proprio pensiero (bias di conferma), per sentirci rassicurati riguardo le nostre scelte.
In fin dei conti, cerchiamo rassicurazioni circa la nostra sopravvivenza:
- È vero che ho il diritto di decidere se soffrire ancora per molti anni o avere subito una morte dolce?
- È vero che se riduciamo le emissioni di CO2 la mia industria andrà in crisi e perderò tutto?
- È vero che se accogliamo i migranti ci ruberanno il lavoro e i/le partner e saremo noi a non sopravvivere?
Se guardiamo attentamente dietro tutti i dibattiti citati, c’è sempre il grande rimosso della morte, come compagna indesiderata che, cacciata dalla porta, continua a rientrare dalla finestra.