Quando una impossibile perfezione diventa una vera malattia. Un pò imperfetti è meglio!
Malati di perfezionismo
Queste sono le parole di una mia paziente che spiegano molto bene cosa significhi ammalarsi di perfezione.
“La cosa che mi fotte di più e lo sento ogni giorno è proprio la ricerca di questa perfezione irraggiungibile (per forza di cose, perché non esiste, perché non è mai abbastanza). È come se il miraggio di me perfetta mi desse la sicurezza di essere amata “per forza”, di essere accettata, di essere parte del mondo. Ma come posso stare bene se ho bisogno di qualcosa che non c’è, di qualcosa a cui ogni volta che mi avvicino si allontana sempre di un passo? E soprattutto mi impone di non vivere nel presente, eternamente insoddisfatta, indecisa, angosciata, con la mente in un futuro in cui sono perfetta.”
Cos’è il perfezionismo?
Il perfezionismo è uno dei tratti più importanti della personalità. Ci consente di sfidare noi stessi e ci dà la spinta per conseguire e raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi.
Ma quando diventa esagerato e si sostituisce allo scopo diventa invalidante, disfunzionale e causa di profondo disagio per chi ne soffre e per chi gli vive accanto. Spesso si trasforma in vere e proprie patologie.
Perché ci ammaliamo di perfezionismo?
Quello che siamo è il frutto della nostra storia, il perfezionismo non fa eccezione e spesso si tramanda dai genitori ai figli.
In che modo? Ad esempio quando i genitori hanno avuto condizioni di vita difficili e “premono”, più o meno consapevolmente sui figli, per far sì che “abbiano una vita migliore”, diversa dalla loro. Oppure perché sono perfezionisti a loro volta. Come ben sappiamo, l’esempio conta assai più delle parole. O ancora, quando in famiglia ci sono difficoltà economiche, familiari con handicap, padre o madre depresso, conflitti frequenti accompagnati da violenza. In questi casi i bambini fanno proprio un comportamento perfezionista per non causare altro disagio, pensando di essere la causa della situazione. Anche genitori ansiosi, convinti che per riuscire nella vita sia necessario controllare tutto, favoriscono l’instaurarsi di comportamenti perfezionisti, con l’illusione di evitare qualsiasi imprevisto.
Occorre, però, sottolineare che gli atteggiamenti parentali sopra descritti, favoriscono nei figli un perfezionismo tossico, quando sono trasmessi privi di calore affettivo. E’ doveroso ed educativo essere esigenti con i figli, ma dobbiamo accettare i loro errori e i loro fallimenti. Soprattutto dobbiamo amarli per come sono e per quello che possono dare. Solo così potranno conservare quel tratto della perfezione sano e buono per la loro crescita.
Perfezionismo e modelli culturali
Un ruolo altrettanto importante nello sviluppo disfunzionale del perfezionismo è legato al contesto sociale e ai modelli culturali veicolati dai mass media e dal mondo della rete. E’ un perfezionismo orientato verso gli altri che fanno da specchio all’immagine che abbiamo di noi stessi.
Il perfezionista tende alla perfezione, da quella del corpo alle prestazioni scolastiche e sportive, nel lavoro e nei momenti di svago. Anche la felicità è socialmente prescritta e quando il perfezionista è sfiorato dalla tristezza e dal dolore, si sente “imperfetto”, sbagliato e sale l’angoscia di essere escluso, abbandonato, tagliato fuori, perdente. In una società che promuove la competizione, nel perfezionista si instaura una progressiva disperazione per raggiungere obiettivi irrealistici.
Perde fiducia in se stesso e la sua autostima cala drasticamente con effetti devastanti che, non di rado, sfociano in malattie come disturbi d’ansia anche gravi, depressione, disordini alimentari.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (dati pubblicati nel novembre 2019), in Italia, nel 2015, 2,8 milioni di persone soffrivano di depressione cronica. In quasi la metà dei casi la depressione si associa ad ansia di diversa natura, in totale queste due malattie riguardano il 7% della popolazione italiana.
Cosa possiamo fare per non esagerare?
- Acquisire consapevolezza del nostro “livello di perfezionismo” e degli effetti disfunzionali che ha nella nostra vita.
- Valutare i pro e i contro del perfezionismo cominciando a separare le cose essenziali da quelle secondarie.
- Diminuire il perfezionismo nelle cose che, obiettivamente, hanno un ruolo e un impatto secondario nella nostra vita (lavare l’auto o riordinare un cassetto della biancheria)
- Diminuire il perfezionismo gradualmente. Se per fare scrivere un articolo o pulire una stanza ci impieghiamo tre ore, imporsi di fare la stessa cosa in due ore, rispettare il tempo e “vedere” cosa succede.
- Impiegare il tempo guadagnato a fare cose che non richiedano concetti di valore e prestazioni legate a noi stessi né in funzione di mostrare risultati ad altri.
- Commettere intenzionalmente errori minimi che non compromettono l’esito di un lavoro importante, per acquisire la consapevolezza che sbagliare allenta la pressione legata all’imperativo di “sempre perfetti”.
Quando può essere utile e necessari farsi aiutare?
Quando il perfezionismo invade in modo esagerato tutti gli aspetti della nostra vita, quando è onnipresente in ogni azione del nostro quotidiano, diventa una trappola paralizzante e fonte di stress. La ricerca del perfezionismo può condurre ad ansia, disordini ossessivo/compulsivi, perdita di fiducia in se stessi, depressione e disturbi del comportamento alimentare anche gravi. Quando siamo perennemente insoddisfatti di noi stessi, scontenti, quando non sappiamo più godere di momenti di serenità e di gioia, quando abbiamo il terrore delle critiche, quando l’angoscia di non essere all’altezza ci paralizza, forse abbiamo bisogno di farci aiutare. Diamoci la possibilità di rinunciare alla perfezione e ri-costruiamo la nostra vita.
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