Sindrome dell’impostore, ovvero “il merito non è mio”
La sindrome dell’impostore non è un vero e proprio disturbo psicologico, ma è una sindrome, appunto, caratterizzata da uno stato d’animo ben preciso: sentire di non meritare i propri successi.
A soffrirne sono soprattutto le donne. Questa convinzione ha degli effetti talvolta distruttivi sui comportamenti, spesso inconsapevoli, che rendono la vita sociale, familiare, lavorativa difficile e insoddisfacente.
Come riconoscere la sindrome dell’impostore
Questo modo di autopercepirsi è molto più diffuso di quanto si possa pensare e riguarda la maggior parte delle persone, con un’incidenza fortemente più significativa nella popolazione femminile.
Chi soffre della sindrome dell’impostore, fa pensieri del tipo:
- non ho meritato il successo, ma ho avuto fortuna;
- non sono all’altezza del ruolo che occupo;
- ho paura di essere “smascherata” o “smascherato” e che tutti scoprano che sono incapace.
In molti casi, la risposta a queste convinzioni sbagliate e a queste paure è un iper-lavoro, con una sostanziale tendenza al perfezionismo.
Le persone con la sindrome dell’impostore lavorano di più, cercano di raggiungere standard inarrivabili e quindi si sottopongono ad un’ulteriore dose di stress.
Spesso a cadere in questo modo di pensare sono persone intelligenti e dotate, con una cultura medio-alta e un bagaglio di esperienze nutrite. Al contrario, persone meno talentuose tendono a cadere vittime della sindrome di Dunning Kruger: sopravvalutano le proprie capacità e i propri successi.
L’autostima nella primissima infanzia
Come ogni convinzione sbagliata legata all’autostima, anche la sindrome dell’impostore getta i suoi semi nella primissima infanzia di ciascuno di noi.
Spesso dipende da errori di comunicazione grossolani commessi dai genitori, o da vere e proprie manipolazioni. Ogni volta che un bambino si convince di essere inferiore ai fratelli o alle sorelle, oppure di dover meritare l’amore e la stima dei genitori, l’identità, ovvero l,’immagine che va costruendo di se stesso subisce un duro colpo, l’autostima decresce e la sindrome dell’impostore si alimenta.
Sono i primi anni di vita, le relazioni con la mamma e il papà prima, la scuola poi e il tessuto relazionale dell’adolescenza a segnare in profondità il nostro sviluppo e la nostra identità adulta.
Tuttavia, è doveroso – e possibile – prenderne coscienza e porvi rimedio.
Un adulto che riconsidera la sua storia e la rielabora in maniera più funzionale può smarcarsi dalle insicurezze che si porta dietro dall’infanzia e vivere una vita più piena e serena. Liberandosi anche dalla sindrome dell’impostore. (https://www.antonelliada.it/2022/06/15/aumentare-lautostima/)
Perché la sindrome dell’impostore colpisce di più le donne
Nel caso delle donne, oltre ad una condizione individuale e familiare di partenza vi è anche una matrice sociale.
Lo schema patriarcale della donna che si realizza solo come angelo del focolare non è più stringente come nei decenni passati, ma esercita ancora una forte pressione.
Le donne che lavorano, che fanno carriera, che assumono ruoli di responsabilità sentono di dover faticare di più dei loro omologhi uomini. Si formano di più, lavorano di più, rinunciano alla vita sociale. Eppure, ancora continuano a elaborare pensieri sbagliati del tipo: “non è merito mio”, “sono un’impostora”, “verrò smascherata”.
Anche oggi che il sistema patriarcale sembra venire meno, alla donna è richiesto molto più che agli uomini. Deve essere:
- bella e curata (ma non troppo truccata, o sarà “volgare”);
- una buona moglie, una brava madre (ma se non lavora, sarà una “mantenuta”);
- una professionista in carriera (ma se rinuncia alla famiglia sarà una “donna algida”);
- una sportiva (ma senza arrivare ad essere una “fissata per la palestra”);
- una persona autonoma e risoluta in ogni ambito della vita (ma restando sorridete e remissiva, o sarà “aggressiva”).
Il linguaggio diffuso continua a estendere i bias di percezione riguardo al merito delle donne. Quante volte, per esempio, si dice che una donna che abbia assunto un ruolo di responsabilità lo abbia ottenuto mercificando il suo corpo?
Da questa mentalità ancora troppo diffusa risulta chiaro come la donna si senta spesso sotto pressione nel dover dimostrare il proprio valore e i propri meriti. Inzuppate di questi retaggi del mondo patriarcale, siamo noi donne le prime a non credere di essere nel posto giusto grazie all’impegno e al duro lavoro.
Ma attraverso un lavoro di conoscenza di sé, di accettazione dei propri limiti e dei propri talenti, è possibile uscire dalla sindrome dell’impostore e vivere una vita appagante e serena. Senza cadere nella trappola del perfezionismo e nell’ansia continua da prestazione.
Questo articolo è informativo e non sostituisce il parere di un professionista.
Per info o appuntamenti, contatta la dott.ssa Ada Antonelli.