Vittime o carnefici?
Le relazioni tra vittime e carnefici, purtroppo, possono instaurarsi in qualsiasi contesto sociale, micro o macro: famiglia, relazioni di coppia, relazioni di amicizia, lavoro, comunità, Nazioni.
Esistono rapporti sbilanciati che sfociano in violenza, tanto sul piano delle relazioni individuali e private che nella collettività sociale.
Sul piano macro, queste relazioni sono favorite da un sistema sociale che alimenta delle spaccature tra un “noi” e un “loro”. Avviene un processo di vittimizzazione che acuisce le divisioni. Alla lunga si trasforma in aggressività. Gli stessi carnefici si sentono vittime e reagiscono in difesa del proprio stato o di un ideale.
La storia è ricca di esempi: genocidi, aparheid, violenza di genere ecc, in cui un gruppo di persone viene preso di mira per delle sue caratteristiche particolari. Ma dal punto di vista della psicologia collettiva come è possibile che intere popolazioni compiano o accettino la violenza verso una minoranza?
Vittime e carnefici: la rottura dei legami interpersonali
La violenza verbale o fisica verso un determinato gruppo etnico, sociale o politico si genera quando si rompono i legami interpersonali. Spesso, un terreno culturale estremista o un clima politico autoritario favoriscono scenari di questo tipo.
In nome di un’ideologia, si sfaldano i sentimenti che legano amici, famiglie, compagni, colleghi.
La comunità si divide così in un gruppo maggioritario che esercita la violenza e in un gruppo target. Il target viene individuato sulla base di caratteristiche arbitrarie (l’etnia, la religione, l’orientamento sessuale, il gruppo politico di appartenenza, le idee manifestate) che la subisce.
A queste persone viene attribuita la colpa delle condizioni avverse, reali o presunte, in cui versa il gruppo di maggioranza. La leva che fa da collante nel gruppo di maggioranza è, in genere, la paura dell’altro, percepito come diverso e potenzialmente pericoloso.
Pertanto, la violenza diventa un esercizio moralmente accettabile, che ripara il torto subito, punendo i “colpevoli”. La comunità si ritrova così divisa tra vittime e carnefici, creando ferite difficilmente sanabili nel tessuto sociale.
L’esempio principe in questi casi è quello del Nazismo in Germania, quando milioni di ebrei, polacchi, abitanti dell’est Europa, disabili, omosessuali, avversari politici di Hitler furono fisicamente annientati con ferocia.
Tuttavia la Storia è da sempre tristemente piena di questi esempi: il genocidio degli armeni, lo scontro tra Israele e Palestina, il terrorismo islamico, Boko Haram in Nigeria, il Ku-Klux Klan negli USA negli anni, le dittature feroci tuttora esistenti in gran parte del globo, le aggressioni omofobiche e razziste che si verificano perfino nell’Occidente sviluppato e progressista ecc.
Come riconciliare le vittime e i carnefici?
La via per riconciliare le vittime con i carnefici è quella di restituire alle persone la loro dignità di essere umani. Se una riconciliazione è possibile, dopo eventi tragici e spesso durevoli nel tempo, essa si può ottenere solo al patto di considerare la storia individuale, la cultura e l’influsso della società su ciascuno degli attori in causa.
Questo non vuol dire deresponsabilizzare i carnefici, ma liberare le vittime dall’oppressione dell’odio e del rancore e dal rischio del vittimismo: un mix di revanscismo e senso di inadeguatezza, che impedisce al gruppo target di rifiorire dopo il trauma.
Le Commissioni di Verità e Riconciliazione di Mandela
Un esperimento che talvolta ha portato buoni frutti è quello delle Commissioni di Verità e Riconciliazione, ideate negli anni ‘50 da Nelson Mandela dopo l’Apartheid in Sudafrica.
Questi tribunali affiancavano quelli ordinari e non proponevano una giustizia punitiva, ma un luogo in cui vittima e carnefice potevano riconoscersi e perdonarsi.
Nel corso dell’udienza, il carnefice ascoltava la testimonianza della vittima. Rivivendo le sue azioni, comprendeva il male compiuto e se ne assumeva la responsabilità.
Anche la vittima comprendeva appieno la situazione, calandola in un più ampio contesto storico e sociale. Veniva in qualche modo risarcita moralmente e le veniva restituita la sua dignità di persona. Proprio per le dinamiche sopra descritte, infatti, spesso vittime e carnefici non sono consapevoli dei propri ruoli fino a quando la loro storia non viene narrata.
Molte udienze delle Commissioni furono trasmesse in tv per favorire una riconciliazione tra i bianchi e i neri in sudafrica, indispensabile per sanare il tessuto sociale.
La riconciliazione è un tentativo doloroso per entrambe le parti, ma è necessaria per curare le ferite dei conflitti sociali e dei legami di violenza.
Rappresenta una strada maestra perché vittime e carnefici prendano consapevolezza del proprio ruolo nella vicenda, del proprio valore intrinseco a prescindere dalle azioni del passato, della propria storia personale e della grande Storia collettiva.
Conoscere, capire e ricostruire diventa così l’unica opportunità per superare il trauma in maniera costruttiva.